Parchi e riserve
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IL PARCO
Estensione: 850 ettari
Sede: c/o RomaNatura, Villa Mazzanti, Via Gomenizza 81- 00195 Roma
Telefono: 06 35405350
Sito web: www.romanatura.roma.it
Accessi: Via della Vignaccia, angolo Via A. Foschini, Via della Magliana, angolo Via L. Candoni, Via della Pisana, Via Portuense. Gli accessi ricadono tutti in aree private e possono essere utilizzati solo con visite guidate
La Riserva Naturale della Tenuta dei Massimi (gestita da RomaNatura) è la riserva più grande tra quelle del settore occidentale della città. Con i suoi 850 ettari si sviluppa ad ovest delle ultime propaggini edificate di Roma (quartieri di Corviale, del Trullo e della Pisana), ed è compresa tra l’Autostrada Roma-Fiumicino a sud e la consolare Aurelia a Nord. L’area si estende su un sistema di dossi e vallate compresi nel bacino del fosso della Magliana, dalla confluenza con il Tevere fino al medio corso del fosso della Maglianella, suo affluente di destra. Il territorio fu apprezzato sin dall’antichità romana, quando era attraversato dalle vie consolari Campana (parte dell’attuale Via della Magliana) e Portuense e costellato da insediamenti di particolare pregio come l’area archeologica dell’lnfernaccio, dove gli scavi hanno messo in luce vasti ambienti termali. Nel Rinascimento vi sorse la Villa Papale conosciuta come Castello della Magliana che fu residenza di campagna per ritrovi di caccia di nobili e prelati. La tenuta, infatti, per la sua collocazione e per la vicinanza al Tevere, risultava essere un ambiente particolarmente ricco di selvaggina. Attorno al 1600, però, anche a causa dell’insorgenza della malaria, la villa cadde in un progressivo abbandono; la sua rinascita avvenne solo nel 1959, quando fu ceduta dallo Stato Italiano all’Ordine dei Cavalieri di Malta che la riadattarono trasformandola nell’attuale Ospedale intitolato a S. Giovanni Battista.
Il paesaggio della riserva è rappresentativo della storica organizzazione agricola imperniata su alcune tenute di grandi dimensioni: Casetta Mattei e Tenuta dei Massimi. Lembi di bosco di particolare interesse sono preservati sui pendii ed i pianori della riserva, dalle sugherete della Tenuta dei Massimi ai boschi di querce della Tenuta Somaini e dell’lnfernaccio, mentre boschi dominati dal salice si rinvengono lungo i fossi. Oggi, la collocazione della riserva, praticamente in diretta prosecuzione della Riserva Naturale della Valle dei Casali, con cui realizza un continuum naturalistico, rafforza la sua importante funzione di corridoio ecologico che, attraverso i numerosi spazi verdi collocati a sud-ovest della città, collega le aree centrali più urbanizzate con la pianura alluvionale del Tevere e le aree naturali costiere.
IL TERRITORIO
Due sono i gioielli della riserva e cioè il bosco di querce dell’Infernaccio e la sughereta dei Massimi. Il primo si estende su una collina alla sinistra della via Portuense, uscendo da Roma, all’altezza del Borgo Somaini (un’ex azienda agricola oggi trasformata in zona residenziale esclusiva). Si tratta di circa trenta ettari di querceto misto a cerri e sughere con un fitto sottobosco di biancospini, mirti e pruni selvatici, dove vivono animali come il tasso (una delle poche segnalazioni dentro il GRA), la volpe, la martora, l’istrice e il moscardino. La sughereta dei Massimi o della Pisana ricopre un’altra estensione collinare poco più a nord, tra la via di Brava e appunto la via della Pisana e coi suoi quaranta ettari è la più estesa del territorio urbano. Oltre alle sughere e ai cerri, ma anche a roverelle e farnetti, vi si rinviene la cosiddetta pseudosughera (Quercus crenata), interessante ibrido tra sughera e cerro. Tra le specie floristiche, oltre alle belle le fioriture del narciso tazzetta e del gladiolo, è da sottolineare la presenza della ginestra, dell’erica arborea e del cisto femmina che in maggio macchiano la continuità del verde con sprazzi di giallo e di bianco. Sempre in primavera è possibile osservare, nei pascoli seminaturali, una splendida fioritura di un’orchidea selvatica a forma piramidale di colore variabile dal rosa pallido al porpora, ma raramente anche bianco (Anacamptis pyramidalis).
Altro elemento naturale di spicco è il fosso della Magliana, che in passato rendeva l’area ricca di zone paludose e che, a causa delle opere della bonifica, ha subito canalizzazioni che hanno modificato profondamente il paesaggio divenuto agricolo. Testimonianza di questo passato è data dalla presenza delle pozze stagionali, sia in zone agricole che all’interno del Bosco Somaini. La principale è la pozza chiamata “Stagno del Cinerino”, che nel periodo invernale può raggiungere anche una notevole estensione. Ma, comunque, nella riserva sono ancora presenti diversi ambienti ripariali ed umidi che nonostante l’inquinamento delle acque e la pressione antropica sostengono una discreta biodiversità. Non solo la vegetazione presente, composta da salici, piccoli giunchi, verbene, veroniche e tife, ma anche numerose forme animali che vi trovano rifugio, quali piccoli crostacei, coleotteri, ditteri, la biscia d’acqua ed alcuni anfibi, tra cui la rana verde, la raganella ed il tritone crestato. In questi ambienti è possibile avvistare diverse specie di uccelli acquatici, come la gallinella d’acqua, il martin pescatore, il cannareccione e, a caccia di pesciolini e larve, la garzetta e l’airone cenerino. Sono ben rappresentati anche predatori alati, tra cui il gheppio, l’allocco, il barbagianni e specie legate agli ambienti boschivi, quali il picchio rosso maggiore, la ghiandaia e il rampichino, che testimoniano un buon equilibrio ecologico. Ma, su tutte, la specie di maggior spicco, un po’ il simbolo dell’importanza della riserva, è senza dubbio il nibbio bruno, un rapace diurno con abitudini migratorie (presente tra marzo ed agosto) che qui nidifica con alcune coppie. Per quanto riguarda il territorio, da segnalare lungo Via della Magliana alcune cave che permettono di studiare la geologia del luogo. Gli strati geologici principali sono tre: alla base le argille, di origine marina e contenenti fossili di conchiglie, a metà uno strato di ghiaie, portate dal Tevere circa 500.000 anni fa e più in alto le sabbie, anch’esse di origine fluviale. Inclusi nel perimetro dell’area protetta vi sono anche, oltre all’ex Castello della Magliana, alcuni siti d’un certo valore insediativo quali il già citato Borgo Somaini e la Casetta Mattei (casale-villa edificato presumibilmente nel 1700 presso la via Portuense). Vi si aggiungono presenze più moderne e ad elevato impatto quali un grande deposito Atac e il centro direzionale dell’Alitalia, nonché il famoso edificio di Corviale, discussa e non del tutto realizzata traduzione italiana (architetto Mario Fiorentino) della scuola razionalista ispirata a Le Corbusier: progettato negli anni Settanta del secolo scorso, l’edificio – in realtà sono due – conta nove piani ed è lungo 980 metri.
LA VISITA
Nonostante la sua considerevole estensione, la riserva soffre di una scarsa fruibilità. In pratica, non vi sono aree interessanti da un punto di vista naturalistico accessibili liberamente al pubblico. La sughereta della Pisana può essere ammirata nella sua fascia più esterna dall’omonima via subito prima dell’incrocio con via di Brava, che pure attraversa un tratto con diversi scorci interessanti tra un rimessaggio di camper e un grande emporio all’aperto. Il fitto bosco dell’Infernaccio lungo la Portuense, proprietà privata, è inaccessibile e alcune visite guidate organizzate periodicamente da RomaNatura si limitano a seguirne il confine orientale lungo il fosso della Magliana, per poche centinaia di metri. Sempre lungo la via Portuense, ma verso la città (ingresso al civico 863), sorge un chiosco informativo del Consorzio Campagna Romana, cui è affidata la promozione della riserva e che organizza anche attività didattiche e centri estivi. Una veduta d’insieme del settore centrale dell’area protetta, compresa la zona più frequentata dai nibbi bruni, è possibile percorrendo la via del Ponte Pisano, tra la Pisana e la Portuense: scorcio migliore sarebbe quello dal Borgo Somaini, dove però l’accesso è riservato solo ai residenti.
DUE CURIOSITA’
Il nibbio bruno
Il nibbio bruno (Milvus migrans) è un rapace di medie dimensioni dal piumaggio marrone scuro tendente al rossiccio nelle parti inferiori, facilmente riconoscibile per le ali relativamente lunghe e strette e la coda leggermente forcuta. Le coppie arrivano nei territori di riproduzione tra marzo e maggio e li abbandonano entro la fine di agosto per fare ritorno nelle aree di svernamento africane a sud del Sahara. Nelle aree protette di RomaNatura il nibbio bruno nidifica con alcune coppie nella Tenuta dei Massimi e all’interno della Riserva di Decima-Malafede dove ce ne sono altre. Quest’area è in stretta continuità con la colonia di nibbio bruno di Castelporziano che, con qualche decina di coppie nidificanti, è una delle più importanti d’Italia. In queste località, dalla fine di luglio fino alla partenza migratoria, si formano dei grandi dormitori in cui si concentrano anche più individui contemporaneamente. La presenza di questi rapaci è legata all’esistenza di vasti spazi aperti dove i nibbi bruni si alimentano, nonché a boschi tranquilli con alberi di dimensioni tali da sostenere i grossi nidi, costituiti prevalentemente da ramoscelli intrecciati, talvolta frammisti a cartacce, pezzi di plastica, stracci e altro materiale trovato tra i campi e ai bordi delle strade. Il nibbio bruno una specie pressoché onnivora, ma gradisce in particolare i pesci, anche se la gamma delle prede è molto vasta (carogne e rifiuti compresi) e varia secondo le disponibilità.
L’erica arborea
L’erica arborea (Erica arborea) è un arbusto sempreverde (può raggiungere 5-6 m di altezza) tipico della macchia e dei boschi mediterranei, con foglie aghiformi di colore verde scuro lunghe solo 3-5 mm. I fiori, profumati, di colore bianco-crema, visibili tra marzo e maggio, sono di piccole dimensioni (3-4 mm) e per questo appaiono riuniti in ricche infiorescenze. La corteccia dei fusti è di colore rossastro, mentre i rami giovani sono ricoperti da una lanugine bianchiccia. Le radici dell’erica sono molto dure e voluminose e vengono utilizzate per la fabbricazione delle pipe. Un tempo, le radici si estirpavano scavando la terra tutto intorno; venivano poi eliminati i rami ed il tronco della pianta, e quindi la radice veniva ripulita della terra e di eventuali sassi. Le radiche così ottenute venivano fatte stagionare, ricoperte di foglie e di terra umida, ed innaffiate per evitare che il legno si spaccasse. Una volta raggiunta la stagionatura giusta, si procedeva al taglio e infine seguiva una fase di bollitura in apposite caldaie per 12 ore per dare al legno una tinta più marcata ed uniforme ed eliminare parte dei tannini, composti che le piante producono come difesa dall’attacco di parassiti.