Tra il 1700 e l’inizio del 1800 divenne indispensabile e molto di moda, per tutti gli aristocratici e letterati europei che volevano completare la propria formazione culturale, effettuare dei viaggi di istruzione presso i luoghi che erano stati la culla del mondo classico. L’Italia era una tappa immancabile di questi itinerari che furono definiti genericamente Grand Tour e che potevano durare mesi o addirittura anni alla scoperta del glorioso passato. Roma naturalmente era una delle mete preferite di questi viaggiatori desiderosi di conoscere quella che era stata la caput mundi ma anche la terra dei Papi e culla del Rinascimento.
Ma gli artisti stranieri che visitavano Roma spesso si spingevano anche a visitare la sua campagna e rimanevano affascinati dalla solitudine dell’agro romano, alla vista di una grande pianura ondulata che, stretta tra il mare ed i monti dell’Appennino, era punteggiata da poche case, torri e capanne, e disegnata da lunghi scheletri di acquedotti, rovine di monumenti, ville e templi che davano il senso dell’antico splendore. Se le opere pittoriche ci hanno tramandato uno spettacolo di severa grandezza e irreale bellezza, i diari di viaggio ed i resoconti di scrittori e poeti ci restituiscono l’immagine di un territorio sospeso tra le bellezze naturalistiche e dell’antico e fulgido passato e la desolazione del moderno, con una società arcaica, arretrata e decadente.
Una delle immagini più belle ci è fornita da François-René de Chateaubriand che a Roma in qualità di ambasciatore così scrive: “Che meraviglia questa notte nella campagna romana! La luna sorge dietro la Sabina per guardare il mare; lei fa uscire dalle tenebre diafane le cime di cenere blu di Albano, le linee più distanti e meno gravi del Soratte. Il lungo canale dei vecchi acquedotti lascia sfuggire poche gocciole della sua onda attraverso i muschi, le aquilegie, i chiodi di garofano, e unisce le montagne alle mura della città: piantati gli uni sulle altre, i portici ariosi, tagliando il cielo, accompagnano nell’aria il torrente delle età e il corso dei ruscelli.
Legislatrice del mondo, Roma, seduta sulla pietra del suo sepolcro, con il suo vestito di secoli, proietta il disegno irregolare della sua grande figura nella solitudine lattea”.
Il poeta inglese George Byron dedica all’area circostante la città eterna questi versi:
Non v’ha nulla sulla terra spettacolo
che uguagli in ricchezza di emozioni
quello che la Campagna romana presenta
Mentre il celebre scrittore danese Hans Christian Andersen descrive così lo stupore del viaggiatore davanti alla solitudine della campagna romana:
Il forestiero che d’oltre i monti si avvicina a Roma,
incantato dall’arte e dall’antichità, vede in questo deserto secco
una pagina importante della storia del mondo.
Il pittore dipinge l’arco solitario dell’acquedotto romano,
un pecoraio, seduto stanco presso la sua mandria
e mette dei cardi in primo piano.
La foto è stata gentilmente concessa da Bruno Cignini.